Il fare arte con scopo di critica, di espressione e di rappresentazione della realtà è pratica comune e antica quasi come l’arte stessa. Martha Rosler è stata tra gli artisti che più hanno usato la pratica artistica, nello specifico quella della fotografia e del collage, per cercare di veicolare messaggi forti, reali, con lo scopo di avvicinare il pubblico – soprattutto occidentale- a situazioni spesso considerate distanti dal quotidiano.
Le due serie “House Beautiful: Bringing the War Home” sono forse tra i lavori più crudi e di impatto realizzati dall’artista. Immagini di guerra, esplosioni, veterani feriti, bambini in fin di vita sono sovrapposte e contrapposte ad immagini patinate: interni di case di design, modelle in passerella, spazi ampi e luminosi. La tecnica usata è quella fotografica, del collage e fotomontaggio, che permette di sovrapporre (letteralmente) delle immagini così discordanti. La tranquillità del quotidiano è fisicamente e graficamente opposta ad una realtà di sofferenza. Il risultato è forte: non si può sfuggire e non si può non notare il contrasto e la diversità di quelle che sono due facce dello stesso presente. Cose che conosciamo, ma che mai, nella nostra mente, sono state pensate così vicine.
Esistono due versioni della serie “House Beautiful”, molto simili nel risultato ma decisamente differenti per quanto riguarda tecnica e motivo di realizzazione. La prima serie fu realizzata da Martha Rosler tra il 1967 e il 1972 come protesta contro la guerra in Vietnam, senza l’intenzione di creare un’opera d’arte. Fu dunque un lavoro creato con forte intento critico, di fatto ritagliando le poche immagini della guerra che si potevano trovare sui giornali dell’epoca e accostandole alle immagini pubblicate sulle riviste per la casa o di moda. Se da una parte lo scopo pratico e, forse, utopico, di questa serie era quello di portare dei cambiamenti effettivi -la volontà di fermare una delle guerre più sanguinose della storia americana-, dall’altra era molto forte anche l’intenzione di mostrare la verità. Attraverso queste immagini Martha Rosler voleva far conoscere al grande pubblico, al popolo americano, la realtà della guerra in Vietnam e dimostrare che, sebbene determinati eventi accadano in posti “lontani” dalla nostra quotidianità, non devono essere considerati come tali ma, al contrario, dovrebbero toccarci nel profondo. Dopotutto, le nostre culture, le nostre politiche, le nostre società (intese in questo caso come occidentali) sono in larga parte responsabili per questi accadimenti, e sarebbe dunque corretto non considerarli come alieni.
Lo stesso presupposto è alla base della seconda serie, che porta lo stesso titolo, “House Beautiful. Bringing the War Home. New Series”, ma realizzata tra il 2004 e il 2008, questa volta avendo per soggetto e target critico la guerra in Iraq e Afghanistan. La tecnica utilizzata è sempre quella del fotomontaggio, ma questa volta si tratta di immagini digitali (senza però l’utilizzo di strumenti di editing come photoshop). Tuttavia, pur mantenendo un forte messaggio di critica contro la guerra, questa serie di lavori, diversamente dalla prima, è stata creata per essere un’opera d’arte e per essere diffusa all’interno del mondo dell’arte: un approccio che implica una ricezione diversa da parte di un pubblico più ristretto. Non si tratta più di arte-“propaganda” ma una vera e propria opera da interpretare in ambito diverso da quello strettamente di cronaca.
Con questa seconda serie Martha Rosler vuole inoltre sviluppare il tema un po’ più a fondo. Infatti, se il messaggio finale è sempre lo stesso, cioè che dovremmo smettere di considerare le guerre “estere” come qualcosa di lontano da noi, qui Rosler aggiunge un’ulteriore critica, e cioè che la razza umana non ha imparato assolutamente niente dal passato. Un esempio pratico e lampante di questo comportamento tutt’ora dilagante è quello che paesi come gli Stati Uniti o il Regno Unito hanno avuto nei confronti dell’epidemia COVID-19: un’epidemia generatasi in Cina era un evento talmente distante da essere quasi ignorato e grandemente sottovalutato. Le misure precauzionali prese dai paesi colpiti dal virus sono state criticate, sono state sviluppate teorie su immunità di gregge e statistiche su contagi minimi o nulli…finchè il virus non è arrivato anche in questi stati, e allora la realtà dei fatti si è rivelata, e tutti hanno fatto un passo indietro.
In un’epoca in cui le informazioni circolano ad un ritmo incessante, in cui tutto è accessibile, in cui le immagini di dolore e di sofferenza sono talmente tante che il pubblico è quasi assuefatto e non si stupisce più di nulla, si continua a considerare tali accadimenti come una cosa altra da noi e dalla nostra vita. I mass media e i giornali, nonostante parlino di questi argomenti, continuano a non integrarli con le altre notizie, raggruppandoli in una sorta di bollettino di guerra a se stante, come per evitare di intaccare la finta tranquillità che regna nel quotidiano. Esattamente come succedeva negli anni 60.
In entrambi i casi, attraverso una tecnica semplice, ispirata al surrealismo ma anche alla pop-art, che implica l’uso del quotidiano come materia prima, Martha Rosler è riuscita a realizzare delle opere estremamente cinematografiche e di impatto. Immagini che vogliono essere un po’ un campanello, se non di allarme, almeno utile a risvegliare le nostre coscienze, per farci rendere conto che la nostra conoscenza e comprensione della realtà , così globalizzata, fatta di immagini e super connessa, non è poi così reale.