Il termine natura morta, indica un particolare genere pittorico, affermatosi in Europa a partire dalla fine del Cinquecento, specializzato nel ritrarre soggetti inanimati, per lo più fiori, frutta, cibarie ed oggetti vari, non più presentati a corredo della figura umana, ma organizzati in sapienti composizioni e mostrati quali autonomi protagonisti della scena. L’espressione “natura morta” cominciò a circolare dalla metà del Seicento, con una connotazione spregiativa, dovuta al pregiudizio accademico nei confronti di un tema considerato inferiore rispetto alla celebrata pittura di storia e ai temi incentrati sulla figura umana. Come per il genere pittorico del paesaggio, anche per la natura morta un precoce e duraturo successo fu ottenuto inizialmente nelle regioni del nord Europa, da parte dei ceti borghesi e mercantili. Il concetto di “natura morta” ha lo scopo di sottolineare il carattere inanimato di questi insiemi di oggetti i quali, svincolandosi dal loro ruolo tradizionalmente subordinato, giungono ad una totale autosufficienza iconica, contenutistica e formale. Alla base dello sviluppo di questo nuovo genere pittorico, deve essere considerato anche il nuovo approccio, di tipo empirico, che andò sviluppandosi in quegli anni nei confronti della natura, il quale ebbe un immediato riflesso nel campo dell’illustrazione scientifica. Ad attrarre artisti e committenti, furono però soprattutto le implicazioni simboliche legate ai soggetti scelti per la composizione, dal carattere moraleggiante o esoterico. Il tema della natura morta, infatti, sembrò prestarsi con facilità ad una moltitudine di significati: dalla semplice rappresentazione di tipo scientifico, all’esaltazione, anche economica, degli oggetti, della loro abbondanza, raffinatezza e rarità, fino all’ammonimento sul valore effimero dell’esistenza e sulla caducità delle cose (Vanitas). La crescente domanda di opere di questo genere portò ad una specializzazione da parte di alcuni artisti, ma furono in molti a cimentarsi con il nuovo genere, come ad esempio lo stesso Caravaggio. Oltre al cibo, del quale venivano solitamente sottolineate le differenti qualità tattili e cromatiche delle vivande, anche i fiori furono un soggetto molto apprezzato. Da un lato per l’intrinseca bellezza delle sue caratteristiche formali e coloristiche, dall’altro per i numerosi significati simbolici riferibili alla religione o più semplicemente alla bellezza femminile o alla fugacità, il fiore venne indagato con una precisione descrittiva da manuale di botanica.
Anche se il genere visse il suo massimo momento di espansione nel Seicento, non mancano celebri esempi di artisti contemporanei, i quali si cementarono con questo genere, riuscendo a coglierne le ulteriori possibilità espressive. Anche nel pieno della rivoluzione pittorica ottocentesca artisti come Vincent Van Gogh o Paul Cézanne, scoprirono le potenzialità del genere, dai fiori morbidamente ondeggianti del primo, alla frutta trattata come pura essenza geometria dal secondo. Restano a tutt’oggi celebri, nel panorama artistico italiano, le composizioni di Giorgio Morandi le quali, nell’apparente semplicità, vengono esaltate dalla luce e da una sapiente resa pittorica, o di Filippo De Pisis costruite attraverso rapide pennellate.
Si propongono qui una serie di opere di artisti della contemporaneità italiana, i quali hanno affrontato il tema con un linguaggio personalissimo. Sono soprattutto fiori e frutta a dominare nelle composizioni, costruite talvolta con l’intenzione maggiormente naturalistica di Antonio Sbrana, Giuseppe Comparini o Emanuele Cappello, mentre altre con la pastosità materica che contraddistingue l’opera di Sergio Scatizzi. O ancora, attraverso il grafismo di Gastone Breddo e Livio Cogoli.
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